Robot collaborativi, sensori, realtà aumentata, intelligenza artificiale, segnano la quarta rivoluzione industriale, ma alla tecnologia va corrisposto un cambio di rotta nella gestione aziendale.
A circa un anno dalla presentazione del piano Industria 4.0, si tirano le fila del progetto che vuole rilanciare la produttività e la competitività del settore industriale italiano, tanto che con la nuova Legge di Bilancio 2018 si son riproposti gli stessi incentivi valevoli per l’anno passato.
I dati diffusi da Ucimu e dal Centro studi di Confindustria relativi agli ordini di macchinari del primo (+22,2%) e secondo trimestre del 2017 (+28,5%), destinati a svecchiare il parco macchine delle aziende che ha in media 13 anni di vista, fanno ben sperare.
Ma in numeri vanno letti in filigrana…
C’è da un lato l’attrattiva dell’iper-ammortamento del 250% per l’acquisto di attrezzature e macchinari e quello del 140% per l’acquisto di software, che hanno senza dubbio risvegliato la voglia di investire da parte delle imprese, ma dall’altro, come può testimoniare chi come noi di WTCO vive le aziende sul campo dalla mattina alla sera, dati così “eclatanti” nascondono ancora una volta, la mancanza di una reale svolta culturale della classe imprenditoriale capace di affrontare con consapevolezza il tema di questa quarta rivoluzione per portar davvero un valore all’interno delle proprie aziende, a dispetto di una mera volontà e necessità di non perdere le opportunità dei vantaggi fiscali, unici nel loro ammontare negli ultimi 40 anni di politica industriale, in un Paese dove l’imposizione fiscale è sicuramente estremamente penalizzante in un contesto internazionale.
E ancora una volta in Italia si è visto il proliferare di innumerevoli realtà societarie e/o di professionisti, pronti a mettersi in gioco per “certificare” tecnicamente gli investimenti che venivano fatti, ma che nel concreto, non fungono da reali agenti del cambiamento all’interno delle realtà con cui son entrati in contatto e così, si rischia di perder ancora una volta il senso di questi incentivi.
Si perché Industry 4.0 non può esser vista solo come una rivoluzione tecnologica, anche perché nella maggior parte dei casi non si tratta di tecnologie nuove e rivoluzionarie, ma di rocket science con almeno 20 anni di applicazioni alle spalle, anche se oggi i prezzi son sicuramente più abbordabili.
E non si tratta solo di trovare/creare le giuste competenze per esser capaci di far fruttare l’enorme massa di informazioni che si stanno generando con gli investimenti in Industry 4.0 ed il machine learning, di cui comunque c’è una gran carenza in questo momento, o per sapersi districare tra sensoristica robotizzata, Internet of Things, Cloud Computing, Realtà Aumentata, Stampanti 3D, robot collaborativi interconnessi, intelligenza artificiale, manutenzione predittiva, simulatori dinamici con applicazioni di realtà virtuale.
Servono competenze per saper leggere e trasformare queste informazioni. Non basta il solo informatico, il matematico, lo statistico che ragionano sul quali algoritmi utilizzare: per intravedere una realistica opportunità a livello di business ci vuole una prospettiva più ampia.
Non tanto quale algoritmo utilizzo, ma che utilizza fare delle informazioni che si estrapolano e quindi delle capacità gestionali che permettano di capirne il valore sugli aspetti dell’organizzazione e della gestione dei processi, nonché sul fattore umano e sullo stesso modello di business.
Le tecnologie in alcuni casi snelliscono i processi, in altri aprono prospettive che prima non c’erano. Pensiamo a Uber: senza una piattaforma tecnologica su cui oggi si basa, tipicamente cloud, non sarebbe potuta esistere.
Possiamo avere tutti i dati che vogliamo, ma se non abbiamo ripensato al sistema aziendale dall’inizio alla fine, le cose non cambiano. Ma perché si scarichi a terra tutto questo, è il Top Management che deve maturare in primis questo cambiamento di mentalità e di approccio. L’approccio al miglioramento e all’innovazione devono iniziare ad essere continui.
Miglioramento continuo, e consapevolezza resiliente sono le parola chiave, perseverare nel cercare di migliorar il flusso dei propri processi all’interno di un contesto sempre più sfidante e che impone di mettersi continuamente in discussione, soprattutto quando sembra di esser approdati in porto, imparando sempre dagli errori che necessariamente si fanno, anche attraverso una Open Innovation i cui elementi fondanti devono essere il condividere, il misurarsi, il confrontarsi, il contaminarsi, con metodo, passione, dedizione, perseveranza, all’interno della struttura aziendale, ma anche con clienti, fornitori, competitors.
Oggi la meccanica incide meno del 35%. Tutto il resto è sempre più software, sensori, monitoraggio, gestione, diagnostica. E le tecnologie saranno sempre più esasperate, diventeranno esponenziali e verranno velocemente e continuamente superate. Per questo è fondamentale prepararsi a questa evoluzione continua; questa è la vera sfida di oggi e del prossimo futuro.
Per ciò, chi aveva già iniziato ad implementare una mentalità Lean nella propria organizzazione e nelle persone, oggi è più pronto a cogliere le opportunità del 4.0, e i fatti lo dimostrano. Chi non lo ha ancora fatto, si trova solo con dei dati in più.
Purtroppo, sino ad oggi, il tasso di abbandono di questi reali percorsi di cambiamento che son culturali in primis e che richiedono passione, impegno e perseveranza, è molto alto e non a caso, finalmente, si stanno rafforzando gli incentivi anche del Governo alla formazione della Lean Organization e del Lean Thinking già all’interno di diversi corsi di studi sulle Operations.
[a cura di Ing. Davide Guariento, partner WTCO LeanDiscovery]